
Dallo sguardo alla presenza
L’evoluzione dell'esperienza attraverso le tecnologie immersive
Federico Dei Rossi | Art Director Forma Urbis
Le tecnologie immersive – realtà aumentata, virtuale e mista – stanno cambiando radicalmente il nostro rapporto con lo spazio e l’informazione. Non si tratta solo di nuovi strumenti visivi, ma di ambienti digitali interattivi che sovrappongono, simulano o integrano il mondo fisico con elementi generati digitalmente.
Nella realtà virtuale l’utente è completamente immerso in un ambiente digitale che sostituisce la percezione del reale. La realtà aumentata arricchisce ciò che vediamo con informazioni sovrapposte in tempo reale. La realtà mista combina entrambe le logiche, permettendo agli oggetti virtuali di reagire allo spazio fisico.
Oggi, grazie a dispositivi come Meta Quest, Apple Vision Pro e HoloLens, queste tecnologie trovano impiego in settori diversi, dal design alla medicina, dai contesti industriali a quelli commerciali, fino all’ambito museale dove possono mostrare il loro potenziale più innovativo. In un museo d’impresa è possibile attivare narrazioni digitali interattive su oggetti fisici: una linea produttiva può animarsi, un documento può trasformarsi in una fonte immersiva, un prodotto può “parlare” attraverso un layer narrativo visibile solo a chi lo osserva attraverso uno schermo.
Le prospettive puntano sull’integrazione con l’intelligenza artificiale. Nell’Apple Store di New York ho provato gli Apple Vision. L’immersività era così perfetta da risultare inquietante. Mi ha colpito non solo la qualità visiva, ma il senso di presenza emotiva che la simulazione riusciva a generare. In quel momento ho capito che la realtà virtuale può assumere il ruolo di un moderno specchio delle brame: uno strumento che non mostra il vero, ma ciò che desideriamo vedere, catturando la nostra attenzione fino a farci dimenticare la realtà che ci circonda.
Le difficoltà restano consistenti. I contenuti richiedono modellazione tridimensionale accurata, alta qualità visiva e sincronizzazione tra hardware e software. I visori offrono grande immersione ma sono costosi e ingombranti; smartphone e tablet sono più diffusi ma meno immersivi; gli occhiali AR promettono una fruizione continua, ma sono ancora limitati in capacità computazionale.
Le aziende tecnologiche stanno investendo in modo massiccio. Apple punta sull’integrazione tra dispositivi, Meta su ambienti immersivi sociali, Google sul potenziamento della realtà aumentata geolocalizzata, Microsoft sull’impiego professionale e industriale della mixed reality. Il nodo critico rimane però nella costruzione di contenuti: esperienze non solo spettacolari ma narrative, utili, pertinenti. L’illusione visiva non basta. Serve un pensiero curatoriale, una progettualità capace di trasformare il medium in linguaggio. È nella coerenza tra mezzo, contesto e intenzione progettuale che le tecnologie immersive possono diventare un autentico strumento culturale.