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Memoria vs nostalgia
Serie
23 Settembre 2025

Memoria vs nostalgia

Quando gli archivi respirano

Un archivio corporate non è mai un deposito neutro: può diventare fonte di vitalità oppure giacimento di rifiuti storici. Esiste sempre il rischio che la memoria — senza cura, senza uso, senza dialogo — si trasformi in nostalgia: un peso morto che sottrae spazio, energie e senso.

Paul Ricœur, in La mémoire, l’histoire, l’oubli (2000), sottolinea come «la memoria non è una; è proteiforme, confrontata a una molteplicità di attori e di poste in gioco: memoria individuale o collettiva, politiche memorialistiche che idealizzano o rimuovono, storia ufficiale in cui trionfa una certa memoria» (traduzione del redattore).

Questa visione ci ricorda che conservare non è abbastanza: bisogna scegliere, interpretare, dare senso. La memoria non è mai un archivio statico di fatti, ma un esercizio attivo di identità. Persino l’oblio, osserva Ricœur, non è solo perdita, ma anche ciò che rende possibile ricordare in modo vivo, perché seleziona, alleggerisce, lascia emergere quel che conta davvero.

Nel contesto aziendale, questo significa che un archivio digitale non serve solo a preservare copie di documenti antichi: li rende attivi — attraverso ricerche, mostre, percorsi immersivi, materiali di branding e formazione.  Quando i materiali restano addormentati, inaccessibili, mai interrogati, allora l’obsolescenza incombe. 

Qui entra in gioco l’intelligenza artificiale. Se la digitalizzazione permette di salvare e catalogare enormi quantità di documenti, è l’AI a renderli nuovamente “parlanti”. Grazie a strumenti di ricerca semantica, trascrizione automatica, ricostruzione di contesti e persino simulazioni conversazionali, gli archivi diventano non solo consultabili, ma capaci di dialogare con chi li interroga.

Un brevetto storico può così essere collegato a innovazioni contemporanee, una fotografia può raccontare la storia delle persone che la animavano, un catalogo può trasformarsi in un’esperienza immersiva. L’AI non sostituisce l’archivista né il curatore: amplifica la loro voce, permettendo agli archivi di respirare in modi nuovi.

L’approccio Made In Heritage dimostra che la memoria d’impresa non è solo “ricordo”, ma “fonte”.  In questo senso, il corporate heritage diventa un laboratorio: ciò che ieri era “solo” archivio oggi può essere algoritmo, interfaccia, esperienza immersiva. L’archivio “respira” quando i suoi documenti non sono più dormienti, ma vivi e accessibili, capaci di ispirare il presente e guidare il futuro.

Memoria vs nostalgia non è solo un contrasto retorico, ma una sfida permanente per le imprese. Custodire è necessario, ma non basta. Bisogna anche attivare, connettere, narrare. Le nuove tecnologie ci mostrano che la memoria non è un magazzino da conservare, ma un organismo vivo che respira, cresce e dialoga. Perché un archivio che respira è dotato di anima e produce, cultura, identità, e innovazione.

 

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